RITRATTI/Lucia Rubini

di Francesca Costi

Quasi quaran’anni di storia, centinai di atleti cresciuti nelle loro fila e una sede prestigiosa all’interno del centro sportivo di Moletolo, il Kyu Shin Do Kai Parma dal 1985 è un punto di riferimento per chi vuole intraprendere il judo come attività agonistica ma anche per chi desidera semplicemente farne propri i principi educativi, sociali e culturali.

Lucia Rubini ne è la presidentessa, con lei abbiamo fatto una lunga chiacchierata per comprendere meglio questa disciplina che viene da lontano.

Come ti sei avvicinata al judo?

“Ho iniziato per caso a 14 anni, grazie a mio fratello che lo praticava già da qualche tempo. Allora era uno “sport” poco conosciuto, strano, orientale. Nell’ambiente ho incontro anche quello che poi sarebbe diventato mio marito, ci unisce da sempre questa grande passione. Mio marito è stato il fondatore del Kyu Shin Do Kai Parma e a tutt’oggi ne è il direttore tecnico”.

Siete riusciti a conciliare vita privata e lavoro?

“Stare fianco a fianco in una realtà dove si vive e si lavora di passione e per passione non è certamente facile, come dico sempre ‘facciamo judo non pettiniamo le bambole’, quindi siamo abituati a scontri diretti per portare avanti le nostre idee. Nonostante tutto abbiamo trovato spazio anche per crearci una famiglia, abbiamo due figlie”.

E anche loro praticano Judo?

“Come famiglia abbiamo sempre ritenuto importante praticare un’attività sportiva. A 6 anni entrambe hanno iniziato judo e ancora lo praticano. In verità le abbiamo avvicinate a vari sport e sono poi state loro a tornare al judo come libera scelta. Mia figlia più grande, Isabella ha 29 anni e l’ha praticato a livello agonistico, la più piccola, Eleonora, tutt’ora è in attività”.

Ci sono donne che decidono di avvicinarsi al judo perché è una disciplina di autodifesa?

“Da sempre abbiamo avuto questo tipo di pubblico, ma far credere che si possa imparare una forma di autodifesa personale con una decina di lezioni è un’idea che ho sempre combattuto; si tratta di un falso mito commerciale che è stato sparpagliato in questi anni per avvicinare persone. Il senso di insicurezza non se ne va con un breve percorso in cui si impara a malapena a tirare un pugno senza farsi male. Gestire un potenziale pericolo significa, in primis, tenerlo a dovuta distanza”.

Ma se invece si intraprende un lungo percorso di judo?

“Sicuramente l’esperienza che ti dà saper gestite un contato fisico, la consapevolezza che si ha che nessuno è autorizzato a toccarci, la capacità di sapersi liberare, sono tutti elementi che chi fa judo assimila negli anni. Difficilmente chi lo pratica si fa mettere le mani addosso, è un’attitudine che si acquisisce. Buona parte della violenza di genere nasce dal fatto che non si ha la consapevolezza che non si può permettere a nessuno di toccarci. Maschi e femmine nel judo fanno lezione insieme fino agli 11 e 12 anni, le bambine spesso hanno la meglio e anche questo è un modo per dire: “stai al tuo posto”.

Hai iniziato subito ad insegnare?

“No, ho iniziato circa una quindicina di anni fa. In questa avventura che è stata il KSDK non mi è stato sempre possibile scegliere il ruolo preferito, spesso ho dovuto imparare a fare ciò che era indispensabile in quel preciso momento. All’inizio mi sono occupata degli aspetti gestionali, partendo da zero ma con umiltà e curiosità.  Ho sempre ricoperto incarichi dirigenziali, ovviamente di vario livello e portata, lasciando l’insegnamento del judo e la parte sportiva a mio marito, che un Maestro di judo 7° dan, con una formazione sia di judo “tradizionale” che sportivo, docente, dirigente e consulente della Fijlkam Federazione Italiana di Judo”.

E quindi come sei arrivata ad insegnare?

“Per necessità. È capitata l’esigenza di coprire l’improvvisa assenza di un insegnante che si occupava dei corsi dei bambini più piccoli, quindi ho rivisto la mia esperienza di judo sotto questo nuovo aspetto”.

E come ti trovi in questo ruolo?

“I primi anni sono stati difficili. Gestire un corso di bambini piccoli è molto impegnativo. Oltre alle competenze tecniche servono quelle didattiche. Ho scoperto la ricchezza dell’insegnare dopo qualche anno. Io cerco sempre di mettermi in discussione, è difficile apportare contenuti perché è un momento educativamente parlando complicato. La scuola e la famiglia sono entrate in crisi già da tempo e due anni di DAD hanno aumentato i problemi, noi lo riscontriamo ogni giorno”.

Che cos’è per te il judo?

“Per me, e più in generale per noi del KSDK, il Judo è un metodo per educare, così come è stato pensato originariamente dal suo fondatore il M° Jigoro Kano e chi ha praticato Judo anche solo per poco tempo ne ha sempre un ricordo molto intenso, lascia una traccia. Ma non è solo questo, è anche vivere la vita con passione, rispetto, lealtà, coraggio, creatività. La parola resilienza, molto in voga in questi giorni, mi sembra forgiata sulla figura del Judoka, che non sale sul tatami solo per vincere – magari di forza – ma soprattutto per combattere, per restare in piedi di fronte all’avversario fino alla fine”.

Si avverte la differenza di genere nel vostro ambiente?

“Da noi al KSDK da sempre le donne sono state ascoltate, hanno avuto spazio, ruoli spesso di rilevanza e riconosciuti. Sin dagli inizi, grazie a uomini di grande intelligenza – ma certamente anche grazie al Judo, che permette comunque di confrontarsi avendo rispetto anche a fronte di differenze fisiche rilevanti – non c’è mai stata differenza di genere al KSDK e questa è la cultura che viene insegnata da oltre 30 anni a bambini e ragazzi. Abbiamo numerose donne tecnici federali di grande esperienza, una donna arbitro che intraprenderà, spero a breve, la carriera internazionale e donne che stanno iniziando il percorso dirigenziale”.

Puoi dire lo stesso per altre realtà cittadine?

“Sì, in tutti gli ambiti a Parma ho sempre trovato apertura, intelligenza e riconoscimento delle capacità femminili. Negli ultimi 20 anni abbiamo sempre dialogato con la Pubblica Amministrazione e ho sempre trovato figure dirigenziali, molte delle quali donne, che ci hanno sempre sostenuto e supportato”.

E in ambito nazionale?

“Non posso dire altrettanto purtroppo. Nonostante un ministro per lo sport donna, il mondo sportivo fa molta fatica ad uscire da una logica se non maschilista comunque molto maschile. Tutt’oggi, in occasione di corsi, eventi e soprattutto eventi istituzionali del mondo dello sport, noto con dispiacere che la presenza femminile è sempre molto ridotta, spesso uno sparuto 20/30 percento. Lo scorso anno in occasione dell’assemblea elettiva federale nazionale della Federazione Judo a Roma, su qualche migliaio di presenti, poche erano le donne e soprattutto nessuna ha avuto l’iniziativa di fare un intervento. Io sono stata l’unica a prendere la parola con un intervento apprezzato, che ha sicuramente stimolato le donne presenti ma non portato ad accendere tra di loro il dibattito, c’è ancora molta strada da fare, le donne devono trovare il coraggio”.

Foto di Fiammetta Mamoli



Written by

Francesca Costi, giornalista ed organizzatrice di eventi culturali. Amante dell’arte e del teatro, ha fatto delle sue più grandi passioni un lavoro.

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