Lingua e inclusività: il no del Ministero

La riflessione di W4W Parma sul divieto imposto dal ministro sull’uso della schwa e dell’asterisco nelle comunicazioni scolastiche


Il recente divieto imposto dal Ministero dell’Istruzione sull’uso della schwa e dell’asterisco nelle comunicazioni scolastiche ha riacceso il dibattito sull’inclusività linguistica. Il ministro Valditara conferma la sua posizione conservatrice, allineandosi a chi vede queste innovazioni come inutili forzature. Ma è davvero così?

Una lingua senza neutro: la necessità di strumenti alternativi

L’italiano, a differenza di lingue come il latino o l’inglese, non prevede un genere neutro. Ogni parola deve essere declinata al maschile o al femminile, il che implica una scelta che, in molti casi, esclude automaticamente alcune identità. Il linguaggio di genere non è solo una questione grammaticale, ma uno strumento per riconoscere e rappresentare tutte le soggettività.

Per questo motivo negli ultimi anni sono state proposte soluzioni alternative come la schwa (ə), l’asterisco (*) o la “u” neutra. Questi strumenti, pur non essendo codificati ufficialmente, sono stati adottati in diversi contesti per rendere la lingua più inclusiva. Possono non piacere, ma il loro significato è chiaro: superare l’idea che il genere maschile sia la forma universale e neutra.

L’inclusività non è solo una questione estetica

Il problema va oltre la semplice scelta di simboli grafici. La lingua italiana offre spesso la possibilità di declinare i termini al femminile, ma questa opzione viene sistematicamente evitata per abitudine o perché suona “strana” all’orecchio di chi è abituato a sentire solo il maschile. Eppure, accettiamo senza problemi l’uso di lettere straniere come K, J, Y, W nei testi ufficiali, così come termini inglesi che hanno un perfetto equivalente italiano.

Se la lingua può evolversi per accogliere parole straniere, perché non può farlo per il linguaggio di genere, dando spazio anche a chi non si riconosce nel binarismo maschile-femminile? Qui sta la vera ipocrisia: si accettano innovazioni linguistiche quando sono di moda o legate al mondo economico e tecnologico, ma si alzano muri quando si tratta di inclusione sociale.

Declinare non basta: serve un cambiamento culturale

Non basta il linguaggio per garantire inclusività, ma è un punto di partenza. Se vogliamo una società più aperta e rispettosa di tutte le identità, è necessario trovare strumenti linguistici che riflettano questa evoluzione. Non si tratta solo di regole grammaticali, ma di riconoscere che il linguaggio è il primo strumento con cui definiamo il mondo che ci circonda.

Il divieto del Ministero è solo un altro segnale di una resistenza al cambiamento che, però, non potrà fermare un dibattito ormai aperto. Perché la lingua, come la società, è destinata a evolversi.

 

WRITTEN BY

L’Associazione W4W/Women for Women è un’Aps attiva a Parma e provincia ormai da dieci anni. Nata nel 2015, per sostenere e difendere il ruolo delle donne in tutti gli ambiti della società, opera oggi in quattro ambiti principali: la violenza di genere; la lotta agli stereotipi; la cura del linguaggio; la sorellanza multiculturale.

 

 


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