RITRATTI/Simona Sassano e le “stelle cadenti”

Parlare della morte è deprimente, è ansiogeno, porta sfortuna, è di cattivo gusto. La nostra epoca esalta valori come giovinezza, bellezza, efficienza, successo, benessere, spensieratezza: non c’è posto per il tema della morte e della perdita. Più l’aspettativa di vita si allunga, più abbiamo mezzi per rinviare la morte, meno diventiamo capaci di affrontarla. La morte è l’unico limite insuperabile di fronte al quale tutti sentiamo l’istinto irrefrenabile di sottrarci, di tenerci il più possibile alla larga. Tutti, tranne lei: Simona Sassano, tanatoesteta e necrofora. Ridare dignità ai corpi inermi che si apprestano a ricevere l’ultimo saluto è il suo lavoro, o per meglio dire, la sua missione. Un ultimo atto di amore prima di riconsegnare i defunti al perenne ciclo della vita, della materia, che permetta anche ai loro cari di affrontare con minor pena l’estremo momento del distacco.

“Simona e le stelle cadenti” è il titolo della mostra fotografica di Fiammetta Mamoli, inserita nella rassegna Il Rumore del lutto, che la vede protagonista in un racconto intimo del suo lavoro. L’esposizione sarà visitabile dal 17 al 30 ottobre al Palazzo Centrale dell’Università di Parma.

 

Simona, qual è il tuo primo ricordo collegato alla morte?

«Avevo già 19 anni, successe quando mio zio Antonio, di soli 54 anni, morì improvvisamente. Per tutta la famiglia fu uno shock. Arrivai all’obitorio di Foggia alle 6.30, lui era su una barella coperto da un lenzuolo bianco e ricordo che era perfettamente pulito. Mio zio era una persona che teneva tantissimo alla sua igiene personale, aveva le unghie dei piedi e delle mani pulite e tagliate perfettamente. Rimasi in quella stanza con lui circa quattro ore tenendogli la mano fino all’arrivo del personale delle onoranze funebri per la vestizione. Lui diceva sempre ch’io ero la sua nipotina preferita e questo tenergli la mano fu per me come un lungo addio.»

 

Parliamo allora della tua famiglia, come ha accolto la tua scelta lavorativa? Ti hanno sostenuta?

«Inizialmente no, lo consideravano un lavoro macabro, portatore di malattie e di sventure, sono molto scaramantici, però alla fine mi hanno sostenuta e ora sono orgogliosi di me e di quello che faccio, perché sanno con quanto amore io mi dedichi a questa professione.» 

 

E nel contesto della nostra società, come ti sembra sia percepita la morte?

«La morte e tutto ciò che ci gira intorno è ancora un tabù. La gente vuole starne alla larga, preferisce non sapere, non ascoltare.» 

 

Ti sei mai sentita discriminata per questo?

«In realtà sulla mia professione c’è tanta curiosità, soprattutto da parte dei più giovani. Molti mi chiedono come fare per intraprendere questo percorso e come si svolge il lavoro. Personalmente non mi sono mai sentita né a disagio, né giudicata, perché sono sicura e fierissima di quello che faccio.»

 

E qual è l’aspetto che più apprezzi del tuo lavoro?

«La sfida più grande è riuscire a restituire a familiari ed amici il loro congiunto anche quando ci sono problematiche importanti e l’esposizione della salma diventa difficoltosa. Tante volte mi è capitato che la salma fosse in pessime condizioni, tanto da rendere l’esposizione praticamente impossibile, succede ad esempio se passano diversi giorni dalla morte o se ci sono importanti perdite di fluidi causati da incidenti, nulla mi ha mai fermata, per me l’importante è che i familiari abbiano la possibilità di rivedere il proprio caro nelle migliori condizioni possibili. Ogni volta che questo succede per me è una piccola vittoria.»

 

Cosa ti mette invece in difficoltà?

«Lavorare con le salme dei bambini.  È straziante a livello emotivo, così come vedere bambini il giorno del funerale della mamma o del papà, oppure genitori anziani che piangono i propri figli, queste situazioni mi spezzano il cuore. Riscontro però tanta indifferenza nel mio ambito di lavoro, ed è una cosa che mi colpisce ogni volta, non lo accetto.»

 

Il tuo è un mondo principalmente maschile, come sono i rapporti con i tuoi colleghi?

«È maschile e anche molto maschilista, infatti, quando ho iniziato, oltre a ricevere tante porte sbattute in faccia, sono stata anche derisa perché per tantissimi impresari non era un lavoro da donna.»

 

In che senso?

«Come donna ero considerata debole e per alcuni quello che facevo era una perdita di tempo, nel loro immaginario le donne devono badare ai figli, si scandalizzavano. Fortunatamente ad oggi il rapporto con i miei colleghi è ottimo, ho il rispetto di tutti, soprattutto di quelli coi quali lavoro più assiduamente facendo parte della stessa agenzia.»

 

Abbiamo parlato tanto del tuo lavoro ma qual è il tuo personale rapporto con la morte?

«La morte rimane un mistero per me, il dopo morte, intendo. Non mi spaventa tanto il morire, ma il non sapere cosa c’è dopo. Credo ad una vita dopo la morte, noi siamo l’anima non il corpo, per cui penso che non ci sia una fine.  La morte, così come la nascita, è l’unica certezza che accomuna tutti noi. Nasciamo tutti da una donna e, nonostante i pareri avversi che ho ricevuto soprattutto all’inizio del mio percorso lavorativo, credo che lasciare questo mondo preparati dalle mani di una donna sia la naturale chiusura di un cerchio, di quella misteriosa e fugace avventura che è la vita.»

 

Sei la protagonista della mostra fotografica di Fiammetta Mamoli, come hai vissuto questa esperienza?

«La prima volta che ho incontrato Fiammetta ed ho capito che tipo di progetto aveva in mente, ne sono rimasta subito entusiasta. Finalmente qualcuno voleva mostrare e far conoscere questa professione, che per quanto se ne dica, ad oggi è ancora poco conosciuta. Sono molto felice ed orgogliosa di far parte di questo progetto. Grazie all’occhio attento e sensibile di Fiammetta il mio mestiere non poteva essere meglio rappresentato. La curiosità è tanta, non vedo l’ora di vedere come le persone reagiranno a questa mostra, c’è tanto bisogno di “famigliarizzare” con la morte, per trovare un posto al tema della perdita ed essere capaci di elaborarla.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Francesca Costi, giornalista ed organizzatrice di eventi culturali. Amante dell’arte e del teatro, ha fatto delle sue più grandi passioni un lavoro.

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