Patrizia Dall’Argine, dal blog al podcast e la sfida del giro del mondo
Racconta le sue avventure sul blog “Ad esempio partire” e ha fondato l’etichetta indipendente di podcast Baby Hurricane
Patrizia è un’esuberante creativa: autrice, scrittrice, copywriter, musicista, ha realizzato un album da solista, si è dedicata al teatro fondando “La Compagnia del Radicchio”, lavora anche nel campo audiovisivo, ha fondato un’etichetta di podcast indipendente, ed è una tenace viaggiatrice solitaria che narra le sue avventure e disavventure con passione nel suo blog.
Nasce a San Secondo Parmense, un paesino della bassa incorniciata dalla nebbia, dal fieno e dell’argine del fiume Taro, con un cognome che lei stessa definisce come un moto da luogo, un invito al movimento, una chiamata all’avventura.
Tanti anni fa inizia a viaggiare da sola, percorre due volte il cammino di Santiago per misurarsi attraverso i suoi passi, ma è nel 2015 che prende corpo un’idea ancora più grande, una sfida che la richiama in tutta la sua intensità: preparare il giro del mondo da ovest a est. Nel gennaio 2016 parte, per un anno intero. Un’esperienza grandiosa che le ha cambiato la vita. Ed è proprio in quei mesi che crea il blog “Ad esempio partire” nel quale racconta il suo viaggio.
Successivamente, negli anni pandemici, si addentra in un altro un bel viaggio e scrive il suo primo libro “Carestia sentimentale. Lettere dal fronte”. Un racconto sincero e coraggioso di una giovane donna di oggi, con le sue fragilità e la sua ricerca dell’amore.
Dai confini di San Secondo Parmense al giro del mondo: quando hai capito che l’inquietudine della nebbia e il richiamo dell’argine non ti bastavano più?
Credo di averlo saputo da sempre, ma di non aver accettato l’evidenza fino a quando non me lo sono chiesto. Intendo con una domanda specifica, chiara, formale e verso la quale mi sono obbligata a rispondere. Una volta verbalizzato il desiderio, mi sono autorizzata a crederci e ho lavorato sodo, affinché il sogno non restasse sogno e si concretizzasse. Per il giro del mondo ho avuto bisogno di un anno per prepararmi emotivamente, per definire tutte le questioni pratiche e burocratiche e per risparmiare i soldi necessari.
Hai definito il tuo cognome un invito al movimento. Secondo te, quanto c’è di casuale e quanto di destino nella viaggiatrice che sei diventata?
La mia casa d’origine è ubicata proprio dietro a un argine, quello del fiume Taro, che attraversa le campagne di San Secondo Parmense. Mi piace credere che nel nostro nome e cognome ci siano segni di investiture e predestinazioni. Io mi chiamo Dall’Argine e penso al mio cognome come una chiamata all’avventura, un moto da luogo a luogo. Dall’Argine all’altrove. Ma se vogliamo metterla su un piano più pragmatico, penso che molto poco avrebbero potuto caso, destino o vocazione, se non avessi risposto con un’azione concreta, ovvero andare.
Due volte il Cammino di Santiago e poi il mondo intero da ovest a est. Qual è stato il momento in cui hai sentito di aver superato i tuoi limiti, e cosa hai scoperto di te stessa in quell’istante?
Ho superato certamente tanti limiti, mentali, emotivi e fisici. Non c’è stato un momento preciso però. Piuttosto, credo, che ci siano state tante piccole epifanie e che tutte siano state folgoranti. Pensavi di non potere e invece hai potuto. E questo è eccezionale non tanto per l’impresa in sé, ma per lo sconvolgimento di credenze che implica. Per tutte le pesanti sovrastrutture che avevi minuziosamente costruito, le definizioni che ti eri dato e che crollano in pochi istanti, lasciando un misto di stupore e meraviglia. Mi piace sempre sottolineare, però, che il superamento del limite è una questione temporanea, o se non lo è, e si tratta di un limite superato per sempre, ecco che si creano quasi istantaneamente nuovi limiti. Non si diventa invincibili, tutt’altro. Però si diventa molto consapevoli.
“Ad esempio partire”, il titolo del tuo blog. Se dovessi scegliere il post del tuo blog che racconta meglio la tua filosofia di viaggio, quale sarebbe e perché?
Sul blog, ci sono diversi viaggi affrontati. Non tutti, ma buona parte. Ho iniziato a scriverlo per il giro del mondo e poi ho continuato per la via Francigena e per Parma-Pechino via terra. Scrivere è parte del viaggio. Il viaggio si conclude quando ho scritto, perché scrivendo metabolizzo e comprendo quello che che è successo. Il messaggio mi arriva forte e chiaro. Quindi ogni post è un tassello, una lezione appresa. Non potrei sceglierne uno in particolare.
Nell’anno in cui hai girato il mondo, c’è stato un momento in cui hai pensato di non farcela? E uno in cui hai sentito che stavi vincendo?
Ho pensato di non farcela innumerevoli volte. Sono stata ospedalizzata in Messico per una pesante gastroenterite mista che mi ha lasciata senza forze per settimane, sono stata derubata nella frontiera tra Messico e Guatemala, mi sono ammalata nuovamente in Perù, e i medici pensavano fosse tubercolosi e a causa della mia fibromialgia sono stata bloccata per quasi un mese in un piccolo pesino di pescatori senza riuscire a muovermi. Poi in Indonesia ennesimo furto. E queste sono le disavventure più problematiche. Le cito tutte per ricordarmi che sì, sono accadute, ma anche che, ogni volta, sono state superate. Col passare del tempo, la seconda parte diventa decisamente più rilevante della prima. Il sentimento di vittoria lo provo invece ogni volta che riesco a partire, perché nonostante per me la partenza rappresenti uno strappo, un’operazione difficile e dolorosa, so che sto facendo ciò che profondamente desidero e che quindi mi sono stata fedele.
Le “disavventure” di viaggio sono spesso quelle che ci insegnano di più. Hai un aneddoto che racchiude una lezione inaspettata? E come ti ha cambiata quell’esperienza?
Come dicevo prima sono stata allettata quasi un mese a Huanchaco, un piccolo paesino del Perù. Il recupero è stato lento. Ero costantemente in contatto, via telefono, con lo specialista che mi seguiva in Italia per la fibromialgia. Piano piano ho ripreso a fare piccole cose. La spesa al mercato, ad esempio. La chiesetta del paese si trovava a un paio di minuti dal centro, ma era in salita. Avevo già provato diverse volte ad arrivarci ma a metà percorso boccheggiavo. Al tempo avevo già percorso il cammino di Santiago, per intero, due volte. Ma il giorno che sono arrivata alla chiesetta ho rivalutato il significato della parola impresa. Quei 200 metri erano valsi come gli 800 km di Santiago. Anzi, molto molto di più. Da quel giorno, per me, il concetto di impresa è diventato: quello che posso oggi, con quello che ho oggi. E se ragioniamo in questi termini, la nostra vita pullula di imprese quotidiane che diamo per scontato, o che non avvertiamo come tali, ma che è bene, è importante riconoscere.
Da viaggiatrice solitaria, hai mai provato nostalgia di casa o paura della solitudine? Come hai imparato a gestirle?
La solitudine è il cuore pulsante del viaggio in solitaria. Partire soli è una scelta specifica. E la solitudine è qualcosa con cui si deve venire a patti costantemente. A volte ne sono sopraffatta, ma più spesso la sento come una grande risorsa, una maestra e fonte costante di ispirazione. Mi mette anche di fronte alle mie innumerevoli fragilità e mi obbliga a capire se mi piace o meno l’essere umano che mi porto appresso, ovvero io. Se smetto di star bene con me stessa, c’è qualcosa che non va. Devo aggiustare il tiro. Mi capita, certo, di avere nostalgia di casa e credo sia buon segno, perché i rapporti e le relazioni che ho tessuto nel corso della mia vita sono molto profondi e solidi. Per cui la mancanza è struggente ma bella, mi fa capire quanto sia prezioso ciò che a casa mi aspetta.
Se dovessi preparare oggi una playlist musicale per un lungo viaggio, quale sarebbe il pezzo che non potrebbe mancare e perché?
“First day of my Life” di Bright Eyes. È una canzone a cui sono molto affezionata. Quando si viaggia, lontani dal piccolo mondo che si è costruito, ogni giorno è il primo giorno della propria vita. Ogni giorno si può essere altro da sé, ogni giorno l’inatteso si fa avanti. Mi piace molto ragionare in termini di rinascita ogni volta che penso al viaggio.
“Carestia sentimentale” racconta un viaggio interiore altrettanto coraggioso. Quanto ti sei sentita vulnerabile scrivendolo? E quale messaggio speri arrivi ai lettori?
Mi sono sentita molto vulnerabile, perché ho dovuto accompagnare il personaggio principale, Ester, dentro un abisso, e capire, insieme a lei, come risalire. Il personaggio poi chiede di evolversi in modi del tutto inaspettati anche per l’autore, ha una sua vita propria. Carestia Sentimentale è un libro sulle relazioni d’amore, d’amicizia, ma anche sulla relazione con se stessi. Il fulcro del libro è l’autenticità che dobbiamo a noi stessi, e senza la quale siamo perduti.
Nella tua etichetta di podcast dai voce alle storie di altre persone. Hai mai pensato di trasformare qualche tua avventura di viaggio in un podcast narrativo?
Sì, e credo che lo farò. Ho sempre scritto dei miei viaggi, ma credo che il podcast traduca meglio quel concetto di racconto orale, rispetto a qualcosa che si è vissuto e che viene riportato, poi, al ritorno. Mi piace l’idea di poter utilizzare la voce, perché molto più personale e intima. Il podcast è un mezzo di trasmissione potentissimo, che esclude l’immagine, ma che porta a immaginare.
C’è una destinazione o un progetto ancora nella tua lista dei sogni? E, se sì, da dove cominceresti per trasformarlo in realtà?
Vivo di destinazione e progetti che ancora voglio realizzare. Lavorativamente, oltre a Baby Hurricane, l’etichetta indipendente di podcast fondata insieme a Rossella Pivanti, vorrei continuare a raccontare storie sotto qualsiasi forma. A fine novembre, presso il teatro Nazionale di Praga, è andata in scena “Shahrazade”, un balletto con la coreografia di Mauro Bigonzetti, di cui ho firmato la drammaturgia. È stata un’esperienza incredibile. Scrivere per la danza richiede di lavorare molto attraverso simboli e metafore. È un linguaggio che ho amato molto. Mi piacerebbe lavorare di nuovo in questo ambito. Mentre riguardo al viaggio, ho un van Transit del 1991, si chiama Toast. Siamo stati a capo Nord quest’estate e credo che andremo ancora lontano, benché lo zaino in spalla resti il mio amore più grande e voglio dedicare ancora molto tempo della mia vita viaggiando così.
Infine, il viaggio in solitaria spesso viene visto come una sfida ma anche come un atto di libertà. Se potessi lasciare un consiglio alle donne che sognano di viaggiare da sole ma non trovano il coraggio, cosa diresti loro?
Direi loro di attendere con grande fiducia. Se questo è ciò che desiderano, arriverà una chiamata così forte e perentoria che non potranno più temporeggiare. Dovranno necessariamente partire. Ogni volta io parto con paura. E ne sono contenta. È il prezzo per l’ignoto. Accetto di pagarlo. So che dall’altra parte la ricompensa è molto più alta.
Puoi seguire le avventure di Patrizia su:
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Podcast babyhurrricane: www.babyhurricane.it
WRITTEN BY
Cecilia Vecchi, si occupa di comunicazione, è content writer e gestisce progetti audiovisivi. Si divide tra Italia e Spagna. Da sempre ama viaggiare perché partire è la più bella e coraggiosa di tutte le azioni, odora di libertà, vuol dire conoscere e scoprire, vedere nuovi posti per tornare con nuovi occhi. Anche scrivere è viaggiare: un’evasione senza l’ansia degli orari e il disturbo dei bagagli. Per Parmaforwomen cura la rubrica Donne in viaggio
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